Guerra in Ucraina, il viaggio di Aurelio: 5mila km per salvare Alona e Maxim

Quattromilacinquecento chilometri, in tre giorni e mezzo. Quasi quattrocento sotto una bufera di neve, con le temperature sotto zero. Cerenova-Siret: dal litorale romano ai Carpazi, in Romania, al confine con l’Ucraina. Un viaggio in macchina, andata e ritorno, per portare in Italia Alona e Maxim. Ventitré anni lei, quattordici lui.

“Qui hanno una casa e sono al sicuro. Loro almeno sono tra quelli fortunati”. Aurelio Cioccolini, settant’anni e un pacemaker, è partito sabato all’alba da casa sua per andare a prendere i due ragazzi ucraini e portarli lontano dalla guerra. Si è svegliato ancora col buio ed è salito in macchina col cognato, diretto a Est. “Alona è la figlia di mia moglie Olga, del suo primo matrimonio. Il padre è morto tanti anni fa. Maxim è il nipote”. Mentre racconta il suo viaggio (“E che ho fatto mai?”) continua a lavorare, misura e taglia la nuova federa di una vecchia poltrona. E’ un tappezziere. “Lavoro da quando avevo 11 anni”, dice. Il laboratorio, nel cuore di Trastevere, è un’istituzione dell’artigianato romano. Da quando è scoppiato il conflitto si sono moltiplicati dall’Italia i viaggi come quello che lui ha fatto il 26 febbraio, due giorni dopo l’invasione russa. Macchine e pulmini diretti ai confini dell’Ucraina per caricare e portare in salvo i profughi. Aurelio non ha detto niente a nessuno. Solo alla moglie Olga, che vive in Italia da tanti anni, e al cognato che l’ha accompagnato, che ogni tanto gli dava il cambio al volante. Sono partiti da Cerenova, Cerveteri, alle quatto di mattina di sabato scorso. “La madre di Maxim avrebbe accompagnato i ragazzi alla frontiera. Abitano a Cernivci, 50km a nord del confine tra Ucraina e Romania. Lì non c’è la guerra, non ancora”.

Slovenia, Ungheria, Romania. Le frontiere si susseguono. Niente riposo fino a Satu Mare, in Romania, dopo 1.600km. Qui si concedono poche ore di sonno, poi prendono la strada che corre lungo il confine ucraino. Gli ultimi 375km in territorio romeno: Sighetu Marmatiei, Radauti, infine Siret. La frontiera. Dall’altra parte c’è la mamma di Maxim, che sta portando i ragazzi al confine, per affidarli ad Aurelio. “A Cernivci hanno una bella casa in campagna- ricorda Aurelio, che l’ultima volta c’è stato l’estate scorsa- ora lì è rimasta la nonna di Alona, mia suocera”. La famiglia di Olga è originaria del Donbass. La donna è cresciuta in una casa al quinto piano di un palazzone. In Unione Sovietica. Un’abitazione concessa alla madre, che per 45 anni ha spalato carbone. Sono andati via nel 2014, quando è scoppiata la guerra. “Mia moglie ha ancora parenti laggiù- dice Aurelio- ma sono giorni che non riusciamo a sentirli, le comunicazioni sono interrotte”.

Arrivati al confine parcheggiano lungo la strada, a due chilometri della frontiera. L’ultimo tratto, un lungo rettilineo in mezzo ai campi coltivati, lo fanno a piedi. “Ho visto il caos- racconta oggi Aurelio- ma anche tanta solidarietà. Decine di macchine in attesa che i parenti e gli amici ucraini varcassero il confine. Si abbracciavano, li facevano salire sulle auto e poi ripartivano. I romeni hanno messo delle tende, per offrire riparo, e i bagni chimici. Ho visto partire auto e camion pieni di persone”. Fa freddo, inizia a nevicare. “La gente tremava, abbiamo regalato due giacconi”. Finalmente arrivano Alona e Maxim. Il ragazzo ha pure un piede ingessato, se l’è rotto giocando a calcetto a casa, in Ucraina, con gli amici. Hanno due valigie, viaggiano leggeri. Un abbraccio alla donna e via, s’incamminano verso la macchina con la targa italiana. La madre di Maxim resta in Ucraina, è nella polizia. Il viaggio di ritorno inizia sotto una bufera di neve. “Ma i romeni sono preparatissimi: appena inizia a nevicare entrano in azione gli spargisale, le strade erano pulitissime”. Guidare tra le montagne si fa faticoso. Dormono in Romania, ripartono il lunedì mattina, quando arrivano alla frontiera con l’Ungheria. “Ci hanno fatto passare le sbarre e poi ci hanno fermato. Volevano i documenti dell’auto e dei passeggeri”. E qui, per un pelo, l’avventura non finisce male. E’ lunedì 28 e il passaporto di Maxim è scaduto il giorno prima. Da non credere.

La polizia ungherese è scrupolosa. I doganieri masticano un po’ d’inglese, Aurelio di francese. Difficile capirsi. Provano a comunicare a gesti, si aiutano con qualche parola d’italiano. “Volevano che andassimo a Bucarest, al consolato ucraino, per far rinnovare il documento del ragazzo. Ma Bucarest era a 600km, non l’avrei mai fatto, piuttosto lasciavo i documenti in Ungheria e scappavo via in macchina”. Mentre pensa alla fuga, i poliziotti ungheresi si allontanano con i documenti verso un gabbiotto per parlare con un superiore. Tornano dopo 15 minuti, che sembrano ore. Quando si avvicinano è per restituire i documenti ad Aurelio. Pronunciano poche parole: “Capo detto tutto ok, andare”. Quanto basta per ripartire. Ora ci sono seicento chilometri di Ungheria da attraversare per arrivare in Slovenia. Cercano un posto per la notte a Maribor, ma i prezzi sono altissimi. Proseguono fino a Lubiana. Qui Aurelio accosta e dorme qualche ora. L’adrenalina in corpo, però, lo sveglia presto. I ragazzi, sui sedili dietro, dormono. Il cognato protesta, vorrebbe riposare ancora. Lui, però, si rimette alla guida. All’alba passa il confine italiano. Alle 14.30, “con mezz’ora di ritardo su quanto avevo scommesso”, sono a casa, a Cerenova. Alona può riabbracciare la madre. “Lei parla un po’ di inglese e di italiano- rivela Aurelio- per Maxim è tutto nuovo. Ma non potevamo mica lasciarlo lì. Magari un giorno torneranno, ma la vedo brutta”. E’ martedì primo marzo, Kiev è sotto assedio e le bombe russe stanno distruggendo il centro di Kharkiv.

(Anb/ Dire)

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