(VIDEO) L’eccidio di Porzus: quando i partigiani comunisti uccisero i partigiani cattolici

L’eccidio di Porzûs consistette nell’uccisione, fra il 7 e il 18 febbraio 1945, di diciassette partigiani (tra cui una donna, loro ex prigioniera) della Brigata Osoppo, formazione di orientamento cattolico e laico-socialista, da parte di un gruppo di partigiani – in prevalenza gappisti – appartenenti al Partito Comunista Italiano. L’evento – considerato uno dei più tragici e controversi della Resistenza italiana – fu ed è tuttora fonte di numerose polemiche in ordine ai mandanti dell’eccidio e alle sue motivazioni. Le vicende legate a Porzûs hanno travalicato il loro contesto locale fin dagli anni in cui si svolsero, entrando a far parte di una più ampia discussione storiografica, giornalistica e politica sulla natura e gli obiettivi immediati e prospettici del PCI in quegli anni, nonché sui suoi rapporti con i comunisti jugoslavi e con l’Unione Sovietica.

Nella storia della guerra di liberazione, la situazione nelle estreme propaggini nord-orientali dell’allora territorio italiano presenta delle caratteristiche del tutto peculiari. Abitata in parte da popolazioni slovene – ampiamente maggioritarie in varie zone – l’area comprende al proprio interno anche una regione denominata all’epoca “Slavia veneta” (oggi chiamata prevalentemente Slavia friulana, in slovenoBenečija) appartenuta per secoli alla Repubblica di Venezia e incorporata al Regno d’Italia fin dal 1866. Durante la seconda guerra mondiale, nell’aprile 1941 l’Italia partecipò all’invasione della Jugoslavia e si annesse parte del suo territorio. Le forze armate italiane per oltre due anni presero parte in modo attivo, insieme alla Wehrmacht e ai vari reparti collaborazionisti sloveni, croati, bosniaci e serbi, all’azione di controllo del territorio e di repressione contro ogni opposizione al dominio dell’Asse e degli stati satellite croato e serbo. Il 10 settembre 1943 – due giorni dopo l’annuncio dell’armistizio italiano e il conseguente sbandamento delle forze armate italiane – la Slavia veneta fu inclusa formalmente dai tedeschinella Zona d’operazioni del Litorale adriatico (in tedesco Operationszone Adriatisches Küstenland – OZAK), territorio sul quale la sovranità della Repubblica Sociale Italiana (RSI) fu puramente nominale, divenendo teatro di un’intensa repressione antipartigiana coordinata dal locale capo delle SS Odilo Globočnik.

In tale contesto geografico operarono contemporaneamente tre tipologie di formazioni partigiane: gli sloveni del IX Korpus, fortemente organizzati e inseriti all’interno dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia (in sloveno: Narodnoosvobodilna vojska in partizanski odredi Jugoslavije – NOV in POJ, o NOVJ), alcune Brigate Garibaldi, fra le quali in particolare quelle inserite nella Divisione Garibaldi “Natisone”, costituita prevalentemente da militanti comunisti, e le Brigate Osoppo-Friuli, con componenti di ispirazione monarchica, azionista, socialista, laica e cattolica. Tutte le terre a est del fiume Isonzo – e comunque ovunque vivesse una componente etnica slovena, compresa quindi la Slavia veneta – furono rivendicate fin dalla fine del 1941 dal Comitato Centrale del Partito Comunista di Slovenia (PCS), la forza egemone del Fronte di Liberazione Sloveno (Osvobodilna fronta – Of), che le dichiarò ufficialmente annesse nel settembre del 1943[5]. All’interno di questi territori gli jugoslavi pretesero di avere il comando di tutte le operazioni militari sottoponendo al controllo del NOVJ le altre formazioni combattenti, in diretta connessione con quanto aveva stabilito, a seguito di precisa richiesta di Tito, il segretario del Comintern Georgi Dimitrov in una lettera del 3 agosto 1942: questi aveva disposto per tutta la Venezia Giulia la dipendenza delle strutture del PCI al PCS. L’obiettivo dei partigiani jugoslavi era triplice: liberare le zone occupate dagli eserciti dell’Asse, creare una serie di fatti compiuti per sostanziare le proprie rivendicazioni territoriali eliminando ancora nel corso delle operazioni belliche ogni opposizione – reale o potenziale – a tale disegno e procedere nel contempo a una rivoluzione sociale di tipo marxista.

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