Napoli. Suicidio studentessa, Mensa Occupata: “Non ci sia silenzio anche per Giada”

“Non ci è facile parlare di quanto accaduto ieri a Monte Sant’Angelo. Non abbiamo rigirato subito la notizia perché non ci piace essere sempre “sul pezzo” e non crediamo di avere la cosa giusta da dire in certe situazioni. Sulla nostra pelle abbiamo imparato a fermarci un attimo dopo ogni volta. Abbiamo visto andare via una dopo l’altro fratelli, amici, compagni di corsi, di lavoro, di spogliatoio, di lotta. Uno stillicidio interminabile che non conosce sosta e che ogni volta ci ha visto fermarci un attimo. Prenderci del tempo, respirare”. Lo dichiara l’associazione studentesca Mensa Occupata commentando la morte della studentessa universitaria suicidatasi nel polo universitario a Monte Sant’Angelo”.

“Negli ultimi anni i suicidi sono diventati la principale causa di morte non naturale della nostra generazione. La sofferenza e la solitudine uccidono più di droga, camorra, incidenti stradali etc. In Grecia dall’inizio della crisi e delle manovre infami dell’Ue che hanno cancellato ogni prospettiva e ogni futuro, i suicidi sono aumentati quasi del 40%. In un viaggio ad Atene avemmo modo di parlare con moltissimi compagni e studenti che avevano perso persone care. Grazie a loro inquadrammo anche ciò che era accaduto a noi. Abbiamo capito che in un questo processo di atomizzazione e di cancellazione di ogni socialità, vivere un baratro di sofferenza e solitudine può capitare a chiunque di noi. Ci dicevano di essere dei sopravvissuti. L’India è un paese che si vanta di avere più miliardari della Gran Bretagna, eppure ogni anno si tolgono la vita circa trecentomila contadini. La pratica è quasi sempre la stessa: ci si reca nei campi e ci si avvelana con un pesticida della Monsanto. Quasi a voler specificare quale sia la ragione del loro gesto. La scorsa estate un ragazzo scelse di suicidarsi lanciandosi dal tetto dell’Università Suor Orsola, ieri lo ha fatto Giada. Ci chiediamo come possano le istituzioni accademiche non capire che scegliere di togliersi al vita all’Università rappresenti qualcosa di devastante per una comunità; qualcosa che dovrebbe far aprire una riflessione sul sistema di ritmi, competizione, meritocrazia e futuro. Tutto questo non avvenne allora e non avverrà oggi. Il Rettore ha scelto di liquidare la questione disponendo un minuto di silenzio da osservare nei corsi. Forse nessuno se ne accorgerà perché il silenzio è ciò che più di frequente accompagna questi drammi. Un minuto in più o meno non cambia nulla. Al contrario rilanciamo la necessità di parlare, di confrontarsi, di capirsi. Sulla sofferenza, sulla solitudine, sulla depressione esistono purtroppo ancora troppi preconcetti e giudizi. La vergogna di parlare del proprio dolore e dei propri problemi anche in ambiti che dovrebbero rassicurare e proteggere, come famiglia e amici, spalanca un precipizio da cui è difficile riemergere. Quando si suicidò Michele ad Udine, lasciando dietro di sè un inequivocabile critica a questo mondo, a questa società che sbeffeggia le ambizioni, annichilisce e svuota le relazioni e precarizza le vite, ne abbiamo sentite di cotte e di crude. Se è vero che la lettere di addio di un ragazzo che si toglie la vita non può rappresentare il manifesto di una generazione, è altrettanto vero che fotografa nitidamente lo stato di putrefazione di questa società. Il caso fu su tutti i giornali, poi lo divorò il silenzio. Non si ha nessuna pretesa di spiegare o di dire la cosa giusta, ma solo l’esigenza di parlarsi e di ascoltarsi. Perchè la nostra generazione non perda più i suoi fiori più belli in questo inverno che sembra non finire mai. Non dire una parola che non sia d’amore”.

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