Femminicidio, dati allarmanti: ecco i principali motivi di questa forma di violenza

Il numero di femminicidi che avvengono ogni anno in Italia è molto elevato, nonostante l’Istat abbia registrato quest’anno un leggero calo. 160 nel 2016, 2061 dal 2000 al 2011. Si può affermare che proprio nel 2011 tali delitti abbiano toccato il 30,9 per cento degli omicidi totali. Una donna su cinque uccisa, inoltre, risulta di nazionalità non italiana. Nel nostro Paese circa ogni cento ore viene uccisa una donna per mano del proprio uomo, del convivente o di un ex. Il periodo più rischioso per la vita di una donna è quello in cui cerca di chiudere una relazione o durante i primi mesi della rottura di un rapporto. Le donne, nel 32 per cento dei casi, vengono uccise per un senso di possesso o di proprietà che gli uomini credono di vantare nei loro confronti. Nel 23 per cento dei casi invece la causa è da ricercarsi in situazioni di conflitto o di contrasto tra uomo e donna. Poi ci sono i delitti compiuti dall’uomo affetto da problemi psichici oppure in preda a raptus oppure ancora, compiuti a causa di malattie della vittima. Spesso l’omicidio di una donna, se consumato in famiglia, costituisce solo l’atto finale di una serie di violenze subite dalla vittima e comunque note a terzi. I mezzi usati  più spesso per uccidere sono armi da fuoco o da taglio, poi a seguire, mezzi contundenti, lo strangolamento, il soffocamento, le percosse, la precipitazione, il fuoco e l’annegamento. Per ciò che concerne il comportamento dell’omicida dopo il delitto c’è da dire che nel 40 per cento dei casi tenta il suicidio, solo nel 16 per cento dei casi cerca di costituirsi, in altri casi cerca di nascondersi, cerca di sottrarsi alla giustizia o di continuare a svolgere una vita normale. Le donne solitamente più colpite sono le ultra sessantenni, molto colpita anche la fascia dai 35 ai 44 anni, un po’ meno quella dai 25 ai 34 anni e ancora meno le minorenni. Molto colpite perciò le pensionate e le casalinghe, poi le impiegate, a seguire le donne impiegate in attività illegali, infine le lavoratrici autonome e le studentesse.

Fino a qualche anno fa, il termine femminicidio era quasi sconosciuto in quanto i tragici numeri che caratterizzavano questa materia erano tollerati in società, e probabilmente dallo stesso ordinamento, in maniera a dir poco passiva. Spesso assistevamo all’insensibilità di operatori che dovevano raccogliere denunce; indagini svolte superficialmente; personale sanitario  che spesso minimizzava episodi di violenza contro donne; avvocati poco attenti alla gravità di questi reati; centri antiviolenza in numero limitato. A tutti questi fattori si aggiungevano anche provvedimenti giudiziari e pene inadeguati rispetto alla gravità dei reati e anche alla pericolosità dei responsabili di questi fatti criminosi. Ad una parte di questi problemi ha cercato di trovare soluzioni la nuova legge sul femminicidio, la legge 119 emanata l’11 ottobre del 2013. Uno degli obiettivi che la legge intende perseguire, così stabilito dagli articoli 5 e 5 bis é quello di formazione, informazione e sensibilizzazione. Il legislatore ha precisato come la violenza di genere vada contrastata attraverso il lavoro congiunto di operatori del settore. Un vero e proprio “piano d’azione straordinario”. La legge cerca di abbattere anche gli stereotipi che vedono la donna in posizione subordinata rispetto all’uomo. Altri aspetti trattati dalla legge sono l’informazione relativamente a tale materia in ambito scolastico; un’adeguata preparazione del personale delle forze dell’ordine; provvedimenti volti a contrastare il comportamento dell’uomo ammalato o in difficoltà che compie atti violenti. La nuova legge prevede, poi, che vengano monitorati i delitti che si sono verificati attraverso la conoscenza dei dati.

Anzia Cardillo

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