Ci lascia Pablito, eroe mundial: il 20 nel suo destino

C’è poco da discutere: la storia per Paolo Rossi ha scelto un numero: il 20. Quello stampato sulla maglia azzurra del mondiale spagnolo dell’82 e quello, doppio, dell’anno orribile che non vediamo l’ora di archiviare e che, purtroppo, per l’eroe del Sarrià, si è rivelato fatale (2020).

Stroncato a soli 64 anni da un tumore al polmone, Paolo Rossi è stato capace di farci piangere, di nuovo. Come trentotto anni fa, nel torno di tempo che passò dal 5 all’11 luglio quando, in terra di Spagna,seppe regalare all’antologia del calcio una sequenza di formidabili mirabilie, spalmate su tre partite, che mandarono in estasi un’intera nazione. Allora il pianto fu di gioia. Oggi invece le lacrime che versiamo sono di dolore per un addio di cui avremmo fatto volentieri a meno. Al mitico mundial spagnolo Rossi arrivò in modo insperato,e solo grazie alla intrepida caparbietà di Enzo Bearzot. Il Vecio che guidava la nostra rappresentativa lo volle tra i 22 della spedizione azzurra ad ogni costo, pur consapevole di quanto fossero precarie le sue condizioni fisiche e mentali.Rossi era infatti un giocatore zavorrato da una squalifica ingiusta che lo tenne lontano dai campi di gioco per un lungo periodo. Scommettere su di lui sarebbe stato da folli. Anche perché in quegli stessi anni all’ombra del cupolone si era imposto a suon di goal un baffuto centravanti in forza ai giallorossi di Niels Liedholm: Roberto Pruzzo.

Lasciare a casa l’ariete capitolino avrebbe significato privare la squadra di una risorsa in stato di grazia. Ma soprattutto attirarsi le feroci critiche di stampa e tifosi, che non avrebbero compreso le ragioni di una scelta dall’inconfondibile sapore suicida. Bearzot tuttavia fu sfidante e seguì il suo intuito, sordo alla piena del fiume di consigli non richiesti. Per lui Rossi era rimasto il Pablito del mondiale argentino del ’78. Un centravanti astuto, rapinatore, sornione, nelle condizioni di poter graffiare in qualsiasi momento,grazie a quella innata capacità di leggere lo sviluppo della trama del gioco prima di compagni ed avversari. Per Bearzot dunque Rossi fu una inevitabile follia. Zeppa di rischi e pericoli, come tutte le scelte irrazionali ma soprattutto un potenziale, micidiale carburante per il motore delle polemiche di detrattori e opinionisti un tanto al chilo. L’approccio al torneo spagnolo di Paolo Rossi sembrò dare tuttavia ragione proprio a questi ultimi. Pablito fu infatti irriconoscibile, abulico,la controfigura del talento che salì sugli scudi nella competizione argentina di quattro anni prima,l’uomo in più delle squadre avversarie. Nulla cambiò neppure quando, dopo aver superato a singhiozzo il primo turno, l’Italia si ritrovò di fronte l’Albiceleste di un certo Maradona, astro nascente del calcio mondiale. Gli azzurri giocarono bene e vinsero contro il pronostico della vigilia. Unico non pervenuto: Rossi.

Contestato, tanto quanto Bearzot, gli italiani d’ogni risma ne invocarono l’esclusione per la successiva, decisiva gara col Brasile. E che Brasile. Quello del calcio bailato, di Zico e Socrates, di Falcao e Cerezo,di Junior e di Eder, l’ala sinistra con la dinamite ai piedi. Grazie a Dio Bearzot non si fece condizionare.E,  come un Ulisse redivivo, si limitò ad udire le invettive della critica ma non se ne lasciò persuadere. Il 5 luglio contro il Brasile l’Italia schierava al centro dell’attacco di nuovo Rossi. Fu l’appuntamento con la storia, l’inizio di una favola e di una epopea. Un miracolo. Tripletta ai campioni della Selecao e accesso alla semifinale. Poi doppietta alla Polonia di Boniek e a seguire il trionfo con la Germania di Rumenigge, in finale, innescato proprio da una rete di Pablito che lui stesso definì paradigmatico del suo straordinario repertorio.

Gli italiani, rispolverando l’antico vezzo della giravolta,da anti si ritrovarono ad essere pro Rossi, affasciati in un ideale, unificante tricolore, all’Alpe a Sicilia.

Qualche anno dopo Paolo Rossi scrisse un libro dal titolo evocativo: ho fatto piangere il Brasile.

Grazie indimenticabile Pablito. Fai piangere ancora una volta anche noi. Il tuo 20 resterà in eterno una magnifica medaglia che il Paese potrà esibire con orgoglio.

MDL

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Redazione

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