Morte Maradona, la Juventus posta la storica punizione e consacra il mito

A ventiquattro ore dalla triste notizia della morte di Diego Armando Maradona, si può tracciare un primo bilancio della gigantesca onda del cordoglio e del ricordo che ha idealmente congiunto i quattro angoli del mondo. Tutti hanno lasciato un commento, espresso un pensiero commosso.

Il popolo di Napoli e quello argentino. Ex compagni di squadra, allenatori; i presidenti che ebbero il privilegio di poterlo annoverare nella propria compagine, ma anche autorità religiose, tra queste il Papa, capi di governo, lo star sistem e il jet set. E gli avversari. Cioè quella sterminata legione di sfidanti, costretta ad inchinarsi sul campo, spesso tramortita, al sensazionale armamentario di prodigi balistici di un atleta che aveva, tra gli altri, il dono di dilatare gli spazi. Una virtù che gli consentiva di fare in mezzo metro ciò di cui altri non sarebbero stati capaci neppure in una prateria a perdita d’occhio. Off limites. Diego era così. Mille orizzonti, nessun confine. Poteva tutto in campo, si concesse troppo anche fuori. Imbrigliarlo sarebbe stato tuttavia non solo impossibile, ma persino vessatorio.

Corrado Ferlaino e Maradona in RAI in una foto dell’ 11 dicembre 1987. ANSA

Corrado Ferlaino ha ribadito in queste ore ciò che ha sempre sostenuto negli anni: è solo un caso che sia nato in Argentina. Una anomala traiettoria del destino, perché il bimbo d’oro di Villa Fiorito aveva tutto del napoletano verace, dello scugnizzo autentico ed autoctono. Come dargli torto. La sua Napoli ieri era rotta dal dolore, un dolore patriottico, in nome del quale è sembrata voler invocare una tregua funebre al mostro cinese per poter tributare i più alti onori ad uno dei suoi figli migliori che ha estinto la sua pur ricca parabola terrena troppo presto. Una invocazione, quella dei napoletani,che ha tradito analogie con la missione di Priamo che sfida le insidie di un campo di battaglia asprissimo per postulare ad Achille il corpo di suo figlio Ettore, meritevole di far ritorno a Troia per riceverne consona onoranza funebre.

Del resto Diego di Napoli era il Re. Sarà stato un altro scherzo del destino dal risvolto esoterico, sempre di casa all’ombra del Vesuvio, ma Maradona fa ingresso a Napoli nel luglio del 1984, qualche mese dopo il ritorno in città delle spoglie di Francesco II, ultimo regnante della casata borbonica (CUORI INGRATI, MATTIA DI LORENZO – URBONE PUBLISHING). Quando si dice passaggio di consegne. Nella lunga lista degli onori tributati a Diego, c’è n’è uno che, più degli altri, consegna alla gloria imperitura la sua grandezza. Che eguaglia, non sembri pindarico, le parole di Wellington su Napoleone. Di Churchill sui leoni della Folgore. È il post della Juventus, di quello che a Napoli è da sempre il “nemico” piemontese. Della società e la squadra con la quale la competizione non è mai stata solo calcistica, aspetto che fu ben noto al capitano azzurro, che infatti sentiva la sfida con i pluridecorati torinesi molto più di altri pur suggestivi confronti.

Ieri dalla propria pagina ufficiale la Juventus ha postato la prodezza del 3 novembre 1985. La punizione a due in area che Maradona segnò imprimendo alla palla un effetto stregante. Sfuggente alle umane misure e alle rigorose analisi della fisica. Ancora questa mattina lo ribadiva Stefano Tacconi, il portiere di Madama che nulla poté quella domenica per evitare che la palla si infilasse in quell’angolo che nessun comune mortale avrebbe mai potuto percepire nella sua visuale:”come abbia fatto – ha detto – lo sa solo lui”. Fu molto più di un goal, molto più di una perla di eccezionale fattura. Fu qualcosa che si emancipa dagli steccati del mero gesto tecnico, pur pregevole. Fu ben altro. Alla Juventus lo capirono allora, lo ricordano oggi e lo eternano. E non può essere imputabile ad una sbrigativa approssimazione la circostanza che il post del video della punizione manchi di commento, di didascalia. Già, perché è tutto lì, in quel gesto, in quella magia: basta guardare, scavare con gli occhi in profondità, e lasciarsi travolgere dagli estatici effetti di quella esecuzione. Un commento sarebbe persino sacrilego, hanno ben pensato a Torino, meglio far rivevere la scena e lasciare che riecheggi nell’infinito.

Chi ebbe la buona sorte di seguirla in presa diretta quella esecuzione, ne rimase col fiato strozzato in gola. Molti svennero. Come capita con la sindrome di Stendhal. Fu arte, dunque. Ma fu anche l’inizio, sul suolo italico, e sul prato del Tempio del San Paolo, di una storia che è già leggenda. Fu uno sberleffo ai potenti, come ha detto nella intervista rilasciata al Mattino lo scrittore Maurizio De Giovanni questa mattina. Dove il potente, manco a dirlo, è incarnato dalla formidabile corazzata della famiglia Agnelli. Forse, per restare ancorati ad un repertorio più squisitamente partenopeo, sarebbe stato meglio definirlo “pernacchio”. Uno di quelli che teorizzava e confezionava il mitico don Ersilio Miccio de “L’Oro di Napoli”, condito di ogni sentimento per la vecchia Signora. I napoletani che mal digeriscono tutto ciò che è bianconero hanno apprezzato, sorpresi, ma orgogliosi: chapeau alla Giuve! Come la chiamava Diego, che concorre alla consacrazione del Mito. Un riconoscimento che vale doppio.Ma oggi è ancora il tempo del lutto e del dolore e delle reazioni che essi innescano, sincere. Forse ci sarà anche un vero e proprio funerale per Diego nella sua Napoli. La sua “seconda mamma”, come lui stesso la ribattezzò intonando le note di un fortunato motivetto, si appresta a dedicargli lo stadio, e a celebrare un funerale parallelo a quello ufficiale.

Per la città, se succederà, sarà un Dejavu. Capitò già con Totò nel quartiere della Sanità. Il Principe ricevette una seconda cerimonia funebre.C’era anche tanto di bara, finta perché priva di salma.Ma il pianto, quello fu vero.
Sarà così anche con lo scugnizzo diventato condottiero e Re, leggenda, e ora Mito incrollabile. Napoli fa così con i suoi figli. Addio Diego. Nessun evento potrà mai offuscare la luce che la tua Stella riflette su Napoli.

MDL

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