(VIDEO) Libia. 50 anni fa il ‘Colonello’ Gheddafi saliva al potere

Insoddisfatto del governo guidato dal re Idris I, giudicato da Gheddafi e da altri ufficiali troppo servile nei confronti di Stati Uniti e Francia, il 26 agosto 1969 si pone alla guida del colpo di Stato organizzato contro il sovrano, che porta, il 1º settembre dello stesso anno, alla proclamazione della Repubblica guidata da un Consiglio del Comando della Rivoluzione composto da 12 militari di tendenze panarabe filo-nasseriane. Una volta al potere, Gheddafi, nel frattempo autonominatosi colonnello, fa approvare dal Consiglio una nuova costituzione e abolisce le elezioni e tutti i partiti politici. La Libia di quel periodo non si può infatti considerare una democrazia, non essendovi concesse molte libertà politiche (tra cui, per esempio, il multipartitismo).

Mu’ammar Gheddafi nacque il 7 giugno del 1942 in una tenda presso Qasr Abu Hadi, un villaggio della Tripolitania sito a circa 20 km da Sirte, all’epoca parte della provincia italiana di Misurata, da una modesta famiglia islamica facente parte della tribù dei Qadhadhfa, di cui, però, si hanno ben poche notizie. All’età di sei anni, Gheddafi rimane coinvolto in un incidente durante il quale perde due suoi cugini e resta ferito ad un braccio, a causa dell’esplosione di una mina risalente al periodo bellico. Tra il 1956 e il 1961 frequenta la scuola coranica di Sirte, in cui viene a contatto con le idee panarabe (lo scopo principale è la visibilità sulla scena mondiale come soggetto politico autonomo dell’insieme dei popoli, ndr) del Presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser, alle quali aderisce con entusiasmo. Nel 1961 decide di iscriversi all’Accademia Militare di Bengasi. Una volta concluso il corso (1966) e, dopo aver svolto un breve periodo di specializzazione in Gran Bretagna, comincia la propria carriera nelle file dell’esercito libico, ricevendo la nomina al grado di capitano all’età di 27 anni.

Dopo il colpo di stato del 1969, nacque Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista (in arabo: جماهيرية‎, Jamāhīriyya), l’appellativo con cui dal 1977 Gheddafi volle ribattezzare lo Stato sorto in Libia, inizialmente noto come Repubblica Araba di Libia.

La piena sovranità politica permise al governo di impiegare le entrate delle grandi imprese petrolifere nello sviluppo di infrastrutture nel paese. Nel 1970 i beni degli italo-libici furono confiscati, e gli stessi cittadini furono costretti a lasciare il paese entro il 15 ottobre del 1970.

La politica di sviluppo del territorio perseguita da Gheddafi permise di realizzare, oltre ai miglioramenti, in ogni campo, delle infrastrutture, tra cui il “Grande fiume artificiale“, un’imponente opera idraulica che attraverso lo sfruttamento dell’acqua fossile, contenuta in laghi sotterranei, forniva acqua potabile a una popolazione in continua crescita. La prima fase di tale opera si concluse nel 1991 con il tratto che giunge fino a Bengasi, la seconda nel 1996 con il tratto che raggiunse Tripoli, la terza nel 2000, permettendo di raggiungere l’entroterra. In politica estera, la Libia rivoluzionaria appoggia i movimenti di liberazione nazionale, primo fra tutti l’OLP di Yasser Arafat nella sua lotta contro Israele, e ponendosi come erede di Nasser, Gheddafi tenta senza successo l’unione politica della Libia con la Repubblica Araba Unita di Egitto e Siria (1972), con la Tunisia (1974), con il Ciad (1981) e con il Marocco (1984). Gheddafi espliciterà la sua filosofia politica nel Libro verde (1976).

Il 2 marzo 1977 venne proclamata “La Giamahiria”, la “repubblica delle masse”. Nello stesso anno, grazie ai maggiori introiti derivanti dal petrolio, Gheddafi poté dotare il suo Stato di nuove strade, ospedali, acquedotti e industrie. Sull’onda della popolarità, nel 1979 rinunciò a ogni carica politica, pur rimanendo l’unico leader del paese con l’appellativo di “guida della rivoluzione“. Le deboli organizzazioni libiche del movimento operaio, sindacali e politiche, dopo aver subito la repressione da parte della monarchia di re Idris I al-Sanusi, vennero definitivamente eliminate attraverso assassini, e detenzioni dalla dittatura nazionalista. Gli intellettuali di orientamento marxista subirono nell’aprile 1973 e nel dicembre 1978 la feroce repressione del regime di Gheddafi.

Nello stesso periodo la Libia viene coinvolta in un conflitto di frontiera contro il Ciad per il possesso della striscia di Aozou, un territorio ricco di risorse minerarie, contesa che viene risolta pacificamente solo nel 1994. Sempre durante questo periodo, e per molti anni, Gheddafi fu uno dei pochi leader internazionali che continuarono a sostenere i dittatori Idi Amin Dada e Bokassa.

Negli anni ottanta, la Libia di Gheddafi si configurò come “Stato canaglia”, sostenitore di gruppi terroristici quali l’irlandese IRA e il palestinese Settembre Nero. Gheddafi fu progressivamente emarginato dalla NATO, e, in reazione all’attentato alla discoteca di Berlino del 1986, il 15 aprile dello stesso anno, Tripoli venne bombardata dai caccia americani, attraverso l’Operazione El Dorado Canyon. Per reazione la Libia rispose con uno sterile attacco missilistico contro Lampedusa.

Nel febbraio del 2011 anche la Libia, sull’onda della cosiddetta Primavera Araba, vide l’insorgere di moti di insurrezione popolare, che ben presto sfociarono in una guerra civile, nella quale la Nato avrebbe in seguito fatto il suo ingresso fiancheggiando le forze ribelli, che avrebbero infine rovesciato il regime di Gheddafi.

Gli scontri, sin dalle prime sollevazioni, si rivelarono molto cruenti. Le forze del regime misero in atto una dura repressione armata che causò la morte di numerosi civili, sui quali veniva spesso indiscriminatamente aperto il fuoco, con attacchi sommari e violenti sia nelle case che in luoghi e uffici pubblici. Per tali ragioni il 16 maggio del 2011, sulla base delle numerose prove raccolte, il procuratore del Tribunale penale internazionale, Luis Moreno Ocampo, chiese alla corte penale l’incriminazione di Gheddafi per crimini contro l’umanità, insieme al figlio Sayf al-Islam Gheddafi e al capo dei servizi segreti libici Abd Allah al-Sanussi.

Nel corso del mese di agosto le forze ribelli erano in procinto di conquistare Tripoli e Gheddafi veniva localizzato presso la sua città natale, Sirte.

Il 20 ottobre 2011, risultando vana ogni ulteriore resistenza nella difesa di Sirte, nella quale si era asserragliato contestualmente alla caduta di Tripoli, Muʿammar Gheddafi tentò di guadagnare il deserto per continuare la lotta, ma il convoglio in cui viaggiava fu individuato dai droni inviati dal Presidente degli Stati Uniti Obama e attaccato da parte di aerei militari francesi.

Raggiunto da elementi del CNT (Consiglio nazionale di transizione), Gheddafi fu ferito alle gambe e catturato vivo. Dopo essere stato ripetutamente pestato e brutalizzato, fu ucciso con un colpo di pistola alla testa; i suoi ultimi momenti di vita furono registrati dai presenti all’avvenimento in numerosi video. Successivamente il suo cadavere fu trasportato a Misurata, esposto al pubblico e, quindi, sepolto in una località segreta nel deserto libico.

La sua eredità politica e la guida della Giamahiria furono raccolte dall’altro figlio Sayf al-Islam Gheddafi, il quale, il 23 ottobre 2011, per mezzo della Tv siriana al-Rāʾī (L’opinione), dichiarò in un breve messaggio audio di voler vendicare la morte del padre e di continuare la resistenza contro il CNT, le forze della NATO e l’esercito francese sino alla fine: “Io vi dico, andate all’inferno, voi e la NATO dietro di voi. Questo è il nostro Paese, noi ci viviamo, ci moriamo e stiamo continuando a combattere”. Il CNT decise poi di aprire un’inchiesta sulla morte di Mu’ammar Gheddafi.

In cerca di vendetta per l’uccisione, i simpatizzanti di Gheddafi rapirono, torturarono per 50 giorni e infine assassinarono uno dei suoi catturatori, il ventiduenne Omran Shaaban, nei pressi di Bani Walid nel settembre 2012.

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