Pozzuoli. Convegno internazionale sulle malattie non diagnosticate alla Fondazione Telethon

Dare un nome alle malattie genetiche sconosciute: è questo l’obiettivo comune dei 120 esperti provenienti da oltre 20 diversi Paesi riuniti dal 20 al 21 giugno all’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli per la sesta edizione del convegno internazionale sulle malattie non diagnosticate, organizzato in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità, i National Institutes of Health statunitensi e la Wilhelm Foundation. L’istituto partenopeo diretto da Andrea Ballabio coordina infatti il programma finanziato dalla Fondazione Telethon per fornire, grazie alle tecniche più avanzate di sequenziamento del Dna, una diagnosi molecolare a pazienti di età pediatrica affetti da sindromi ultra-rare e complesse non diagnosticabili con le analisi “tradizionali” (http://www.telethon.it/cosa-facciamo/malattie-senza-diagnosi).
In due anni di attività, nell’ambito del programma del Tigem sono stati discussi i casi di ben 342 pazienti e di questi circa due terzi sono stati sottoposti, insieme ai rispettivi genitori, all’analisi dell’esoma, ovvero la porzione “informativa” del nostro patrimonio genetico. L’analisi di questi dati, che è molto complessa e può richiedere anche diversi mesi, ha permesso di arrivare a una diagnosi nel 45% dei casi: un tasso di successo in linea con tutte le migliori prassi internazionali. «È un’emozione fortissima consegnare il referto di diagnosi molecolare a genitori che l’hanno atteso da anni» commenta Giorgio Casari, che coordina il programma del Tigem. «Dopo una prima fase di rodaggio per mettere a punto la modalità di inclusione dei pazienti e le complesse procedure di analisi genomica, il progetto sta ora funzionando a pieno regime e non escludiamo di superare l’obiettivo delle 350 famiglie diagnosticate che ci eravamo proposti».
L’Istituto Telethon di Pozzuoli partecipa attivamente a UDNI, il network internazionale per le malattie non diagnosticate, che comprende le analoghe iniziative di Paesi quali per esempio gli Stati Uniti, il Giappone, l’Australia, ilCanada, l’India, la Corea: grazie alla collaborazione e alla condivisione di dati e informazioni è infatti possibile moltiplicare il tasso di successo, arrivando a diagnosticare patologie rarissime grazie al confronto tra casi analizzati in diverse parti del mondo.
È il caso per esempio di Rodrigo, un bambino di 8 anni di Varese affetto fin dalla nascita da una patologia complessa che ha compromesso significativamente il suo sviluppo psicomotorio e che fino a pochi mesi fa non aveva un nome nonostante le numerose analisi effettuate. La diagnosi è stata raggiunta confrontando l’esito dell’analisi dell’esoma   con i dati di un bambino messicano che aveva gli stessi sintomi di Rodrigo (contratture articolari multiple, scoliosi, gravi problemi respiratori, difficoltà ad alimentarsi e a urinare, ritardo cognitivo) e in cui i colleghi oltreoceano avevano riscontrato un difetto genetico mai associato finora a questo quadro patologico: in malattie ultra-rare come queste il riscontro in un altro paziente è la “prova del nove” che si cercava, che consente di associare un difetto genetico a un insieme di sintomi. Si tratta in particolare di una nuova forma di artrogriposi, a ereditarietà recessiva: significa cioè che per manifestare i sintomi occorre ereditare il difetto da ciascuno dei genitori, portatori sani e inconsapevoli della patologia. Avere una diagnosi è fondamentale quindi non solo per valutare come gestire al meglio il paziente, ma anche escludere la stessa patologia in altri fratelli e offrire ai genitori uno strumento importante nel caso di altre gravidanze.
A ribadire l’importanza della collaborazione internazionale è anche Helene Cederroth, presidente della Wilhelm Foundation (http://www.wilhelmfoundation.org), organizzazione non profit svedese che prende il nome dal primo dei suoi tre figli deceduti a causa di una malattia rara e mai diagnosticata fino ad oggi: «la mancanza di una diagnosi getta le famiglie nella totale solitudine. Auspichiamo che nel minor tempo possibile ciascun Paese del mondo si doti di un programma come quelli presenti oggi qui a Pozzuoli, in grado soprattutto di collaborare e di dare quelle risposte di cui i genitori hanno bisogno».
Oggi il programma del Tigem può contare sulla collaborazione di un’ampia rete di centri clinici di riferimento per sindromi complesse come queste distribuiti sull’intero territorio nazionale: la Fondazione MBBM di Monza, l’Ospedale S. Anna di Como, l’Istituto Gaslini di Genova, l’Ospedale Meyer di Firenze, il Policlinico Gemelli e il Policlinico Umberto I di Roma, il dipartimento di Pediatria dell’Università “Federico II” di Napoli, il Policlinico “Vittorio Emanuele” di Catania, l’Oasi Maria SS. di Troina (EN). Inoltre, il Tigem si avvale della preziosa collaborazione del consorzio interuniversitario Cineca per l’analisi dei dati.
«Con questo meeting, arrivato alla sesta edizione, celebriamo il successo di una collaborazione internazionale tra istituzioni, ricercatori, associazioni di pazienti e clinici accomunati dall’impegno nel fare progredire la conoscenza sulle malattie senza diagnosi» ha dichiarato Domenica Taruscio, direttore del Centro nazionale malattie rare dell’Istituto superiore di sanità e membro del direttivo dell’Undiagnosed Diseases network International (UDNI, http://www.udninternational.org). «Dopo soli 4 anni dal primo incontro organizzato a Roma dall’ISS, il numero di paesi coinvolti nella rete internazionale è triplicato a dimostrazione che dare una risposta a pazienti con malattie sconosciute è una necessità urgente e condivisa».
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Redazione

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