San Cipriano. Una denuncia di un caso eclatante di malasanità

Ecco in esclusiva una denuncia di un caso eclatante di malasanità, descritto in una lunga lettera di una donna di San Cipriano d’Aversa, protagonista di una assurda vicenda. La malasanità è una carenza generica della prestazione dei servizi professionali rispetto alle loro capacità che causa un danno al soggetto beneficiario della prestazione. Nel corso degli anni sono state molte le definizioni di malasanità, c’è chi la definiva come “una evidente e dimostrata mancanza di conoscenza e/o abilità nella conduzione della pratica clinica” chi invece ricorda quanto gli errori nei reparti di medicina cambino a seconda dell’incertezza tipica delle varie discipline. In tempi più recenti il concetto e che deve coesistire per definire un dato evento come “malasanità”: un obbligo dovuto e violato e che tale violazione ha portato danno al paziente (che può essere sia immediato che differito nel tempo).

Ecco cosa scrive T. Z. di San Cipriano: “Cari amici ora vi racconto la mia storia. Ve la racconto per mettere in luce la malasanità e la leggerezza con cui molti ospedali trattano casi che poi si rivelano molto gravi. La mia malattia l’ho scoperta il giorno 8/ 10/ 2013, ma è cominciata a febbraio 2013, ho cominciato con una febbre 40 che poi e scesa a 37 per 10 mesi. Ho cominciato ad avere mal di testa forti da non dormire la notte. Ho cominciato a fare esami di qualsiasi genere, nelle analisi si evidenziava un infezione in atto, ma non sapevano dirmi da dove veniva e cosi è cominciato il mio calvario in vari ospedali della Campania, dove mi recavo da sola senza avere mai una diagnosi certa. Mi ci recavo da sola perchè siccome avevo una sorella invalida mia mamma non poteva venire e non volevo darle preoccupazioni. La notte non dormivo, sudavo ritrovandomi sempre il pigiama bagnato. Nel mese di luglio fui ricoverata all’ ospedale civile di Caserta, nel reparto malattie infettive, poichè sospettavano che la mia febbre continua fosse frutto di una malattia infettiva, ma nemmeno li riuscirono a capire cosa avessi. Giorno dopo giorno diventavo sempre piu magra. Cominciai a perdere coscienza in qualsiasi posto mi trovavo. A fine luglio mia sorella venne ricoverata perchè non mangiava più e cosi mia mamma mi portò al pronto soccorso della clinica pineta grande di Castelvolturno, e lì mi ricoverarono e curarono per una broncopolmonite, e mi fecero una tac celebrale nella quale a loro parere non c’era nulla, e dopo dieci giorni fui dimessa. (La febbre era rimasta e anche le mie sudurazioni notturne e le mie perdite di coscienza). Ad agosto 2013 mia mamma portò mia sorella per un ricovero di controllo al policlinico le Scotte di Siena e io andai con lei. Mentre mia sorella era ricoverata io sentendomi male mi recai al pronto soccorso, dove mi dimisero in codice bianco ( mandandomi in seguito una lettera a casa con il ticket da pagare).

Quando dimisero mia sorella tornammo a casa, e dopo mesi mia sorella riuscì a mangiare un omogeneizzato di frutta. Io continuavo ad avere mal di testa, ma recandomi ai pronto soccorso di Aversa e Pineta Grande mi mandavano via dandomi della pazza. Mia sorella non riusciva ancora ad ingoiare, cosi mia mamma chiamò l’asl di San Cipriano dove c’erano infermieri che si recavano a casa di mia madre per metterle una flebo di nutrizione, finchè un giorno non riuscendo a prendere la vena, dissero a mia mamma di recarsi il giorno seguente ad Aversa nel reparto rianimazione per far mettere la giugulare a mia sorella, che così poteva essere nutrita tramite sacche di nutrizione. Mia mamma segui le loro indicazioni e il giorno seguente andò alla rianimazione di Aversa, e così venne la fine di mia sorella perchè le bucarono un polmone e mia sorella venne intubata. I giorni trascorrevano e i dolori di testa non mi passavano, avevo sempre più perdite di coscienza, e vomitavo continuamente. E così decisi di fare un altro tentativo e recarmi al pronto soccorso dell’ ospedale Cardarelli di Napoli dove mi ricoverarono su una barella in corridoio, senza farmi accertamenti e mi davano come medicinale la tachipirina, così decisi di firmare e dimettermi. Ritornata a casa dopo pochi giorni (il giorno 7 ottobre 2013) mi svegliai la mattina, e nell’ alzarmi dal letto caddi battendo la testa a terra e cominciai a vomitare. Mia mamma mi riportò al pronto soccorso dell’ ospedale di Aversa, io stavo in pronto soccorso, e lei andò da mia sorella che si trovava in rianimazione. E per l’ennesima volta mi rimandarono a casa dicendomi che era una mia fissazione e che ero pazza. Il giorno seguente mia mamma dovendo andare di nuovo da mia sorella ed essendo molto preoccupata per me, mi riportò di nuovo all’ ospedale di Aversa dicendo loro che se non mi ricoveravano avrebbe chiamato i carabinieri. Così mi ricoverarono, e la sera stessa mi addormentai e non mi svegliavo più, e così sottoponendomi ad una tac celebrale mi riscontrarono del liquido nel cranio e una massa tumorale. Così un medico prese il mio cellulare e telefonò a mia mamma dicendole, signora la chiamiamo dall’ospedale di Aversa, ma non per sua figlia in rianimazione ma per l’altra sua figlia che abbiamo ricoverata oggi. Siccome non si sveglia più le abbiamo fatto una tac riscontrandole una massa tumorale e dobbiamo intervenire urgentemente. Ma non qui, la trasferiamo alla clinica Pineta Grande, perchè qui non abbiamo il reparto di neurochirurgia. Quella sera pioveva a dirotto, e andava via la corrente. Arrivata con l’autoambulanza a Pineta Grande mi svegliai e vidi tutti i miei familiari, e gli chiesi come mai erano tutti li(avevo momenti di lucidità e momenti di non coscienza). Quando mi portarono dentro, i medici (che già mi conoscevano poichè ero gia stata li molte volte senza esito) appena videro che ero io, dissero ai medici dell’ autoambulanza che non potevano operarmi perchè andava via la corrente (una clinica dovrebbe avere dei generatori di corrente d’emergenza) firmarono il rifiuto e mi mandarono via per non assumersi le responsabilità.

Così fui riportata di nuovo ad Aversa e trasferita il giorno seguente al San Giovanni Bosco di Napoli. Li fui accolta dal neurochirurgo dottor Apet, il quale riferì ai miei genitori che poteva intervenire solo aspirandomi il liquido cerebrale, ma non la massa tumorale, perchè le strutture ospedaliere della Campania non avevano macchinari adatti per quel tipo di intervento. Siccome il dolore era sempre più forte i medici del San Giovanni Bosco mi somministravano della morfina per farmelo passare, in attesa dell’intervento. Per alcuni giorni mi hanno fatto passare il dolore, ma per intervenire ci doveva essere il dolore e cosi sono stata senza morfina fino al giorno dell’ intervento. Il 14 ottobre 2013 chiamai mia mamma piangendo dicendole che mi avevano rasato a zero, perchè nel pomeriggio mi dovevano operare, Ma mia mamma non aveva la voce e io per sdramattizzare gli chiesi se era andata a cantare, ma lei rispose che aveva litigato con mio padre. (ho saputo in seguito il motivo per cui mia madre era senza voce, mia sorella Emanuela era morta). Nel pomeriggio fui operata, finito l’intervento durato 6 ore vennero i miei genitori e tutti i miei familiari. Durante la mia degenza dopo essere stata operata, i miei genitori venivano tutti i giorni a trovarmi e io chiedevo loro di mia sorella e quando andavano a trovarla come la trovavano, loro mi rispondevano vagamente dicendomi che stava riprendendosi. Finchè un paio di giorni prima della mia dimissione dissi ai miei genitori di andare via oppure facevano tardi per entrare da mia sorella, così mia mamma mi disse che dovevo sapere una cosa importante e di restare calma, cosi tra le lacrime mi disse che mia sorella era morta la sera del 13 ottobre 2013. Mia sorella, il nostro angelo, era morta, lei era un angelo, un anima innocente senza peccato e anche se era invalida con il suo ritardo psicomotorio era la più bella. Fui dimessa, e tornai a casa inconsapevole della mia malattia e che non era ancora finito il mio calvario e quello dei miei genitori. Infatti tornata a casa i mal di testa erano aumentati, e in più avevo difficoltà a camminare e cominciavo a vederci poco. Un giorno mia mamma mi disse che dovevamo andare a Modena per farmi fare una visita migliore. La mattina del 7 novembre partimmo per Modena. Andammo all’ospedale Sant Agostino Estense di Baggiovara (MO). Ci accolse il dottor Giacomo Pavesi, il quale appena mi vide rimase impietrito da come mi avevano rasato i capelli, lui e il suo staff medico non agiva rasando a zero i capelli come avevano fatto al sud. Dopo aver letto la mia documentazione con calma mi spiegò che dovevo operarmi di nuovo, io scoppiai subito in lacrime e dissi che mi avevano già operato, come mai dovevo operarmi di nuovo?

E cosi il dottore per non dirmi che avevo un tumore cerebrale, mi disse che l’intervento eseguito a Napoli non era stato fatto bene, invece i miei sapevano gia che a Napoli, mi avevano aspirato solo il liquido e non la massa tumorale. Quindi spiegò loro la durata dell’intervento e le conseguenze che avrebbe potuto portare. Cecità, paralisi, ritardo mentale, e anche il rischio che avrei potuto morire. Finita la visita mi ricoverarono, nei giorni che trascorsero prima di essere operata mi aggravai, dormivo senza svegliarmi mai. Dopo vari accertamenti, tra cui mi hanno tirato il liquido dal midollo per vedere se potevo essere operata oppure era inutile, finalmente arrivarono gli esiti del liquor, cioè liquido al midollo, arrivarono con esito positivo e così programmarono il giorno dell’ intervento. Arrivati al giorno dell’ intervento entrai in sala operatoria e iniziarono l’intervento, durò 13 ore, io ero sedata e intubata, e dovevo restare fino al mio risveglio in rianimazione, l’intervento era riuscito bene ma dovevano aspettare il mio risveglio. Infatti il giorno seguente mi svegliai, le infermiere mi lavarono e mi portarono in camera dove c’erano i miei familiari che mi aspettavano, Dopo una settimana mi dimisero e tornai a casa, ma non riuscivo a camminare, ho dovuto fare un anno di terapie riabilitative per ricominciare a camminare bene. Questa è solo una parte, continuerò a scrivere la mia storia fino ad oggi.”

Christian de Angelis

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