Gricignano. L’ombra della puzza, Gianluca Di Luise: “Rischiamo di essere etichettati”

L’estate del 2016 sarà ricordata dai gricignanesi, e non solo, come l’ennesima estate all’insegna della puzza. Nulla di nuovo sotto il sole, questo è sicuro.

Eppure il problema annoso continua a mietere vittime illustri, allegoricamente parlando. A pagare, in questo caso, come spesso succede quando ha luogo una protesta, è “l’appetibilità” del territorio. Si è passati infatti, in pochi anni, dal semplice accostamento alla “Terra dei fuochi” a “paese della puzza”. Un nomignolo non di certo lusinghiero e che, anno dopo anno, potrebbe spingere sempre più aziende e nuovi possibili cittadini a scartare l’ipotesi di avviamento di attività o trasferimento di domicilio a Gricignano di Aversa. In effetti, stando alle voci di corridoio, gli stessi americani residenti nella base US NAVY, starebbero seriamente pensando ad una nuova casa; la fuga potrebbe avere delle ripercussioni a dir poco disastrose sull’economia locale.

Il consigliere di “Gricignano in Movimento”, Gianluca Di Luise, ha palesato, in una nota ufficiale, tutta la sua preoccupazione e il disappunto per la brutta piega che la situazione, da anni a questa parte, sta prendendo.

“L’estate sta finendo e un anno se ne va – scrive l’esponente politico -, ma a tenere banco è ancora la solita puzza che ammorba Gricignano di Aversa e i paesi limitrofi. Anche per quest’anno è stata purtroppo ancora lei la protagonista indiscussa dell’estate gricignanese e non solo.

Si tratta di un problema che, purtroppo, persiste ormai da anni. Un problema che non riusciamo a risolvere, nonostante le proteste e l’esasperazione dei cittadini, i quali, continuamente, accusano anche noi politici, evidenziando l’incapacità di affrontare la difficoltà.

Questo mio intervento – precisa – è teso prima di tutto ad evitare queste forme di “sciacallaggio mediatico”, cercando, anzi, per quanto possibile, di tutelare l’immagine del nostro Comune. Noto, infatti, costantemente sui social network, come Facebook, che le persone, a mio parere giustamente, si lamentano. Non credo, tuttavia, che sia giusto accusare il Comune e soprattutto l’amministrazione in carica di immobilismo.

Certo, non è mia intenzione difendere a spada tratta il Sindaco e l’Amministrazione in carica, considerato il mio ruolo di consigliere di opposizione, ma credo che l’unica innegabile colpa di questa amministrazione sia la lentezza nel prendere le decisioni. Faccio riferimento, in particolar modo, all’indagine commissionata all’Università ed all’ordinanza di chiusura, avvenuta a circa quattro anni dall’insediamento.

Chiaro è che non basta scrivere sui social “questa sera puzza”. Questo lo dovrebbero sapere soprattutto gli illustri esponenti politici locali (di ogni schieramento), che, in questa particolare “specialità”, invece, non si fanno attendere.

Stesso discorso vale anche per le proposte di regolamentare gli insediamenti produttivi nella zona ASI. Proposte populiste che non trovano riscontro nella normativa, in quanto quella zona fa riferimento all’Area ASI e per “vincolare” eventualmente la nascita di nuove aziende si deve necessariamente agire solo ed esclusivamente attraverso una programmazione territoriale che non può avvenire che solo attraverso la redazione del PUC.

Quale potrebbe essere quindi una proposta per attenuare e cercare di risolvere il grattacapo? Secondo me, una delle strade percorribili sarebbe quella di attingere da fondi regionali ed europei, anche se la tempistica non è delle più brevi. L’obiettivo sarebbe quello di realizzare reti di monitoraggio ambientali, in accordo ed

in convenzione, al fine di dare valenza condivisa, con ARPA Campania, proporzionale al monitoraggio delle “molestie olfattive” in atto.

Il progetto si baserebbe su una fondamentale considerazione scientifica, secondo cui “la percezione umana degli odori non può essere sostituita da nessuna tecnologia, perché non esiste una strumentazione in grado di rilevare una molestia odorigena o olfattiva”.

È, quindi, necessario, a tal fine, ottenere, anzi pretendere, il coinvolgimento dei cittadini (che fungerebbero da veri e propri “recettori”). Sarebbe importante che loro, durante il verificarsi dell’evento, allarmassero gli enti preposti, comunicando, telefonicamente o attraverso altri mezzi di comunicazione, il disturbo percepito.

Tale meccanismo – continua – potrebbe articolarsi in questo modo. Il cittadino (“recettore”) comunica il grado del disagio olfattivo tramite i tasti del telefono (esempio: 1 per un odore “appena percettibile”, 2 per un odore “persistente” e 3 per un odore “molto forte”). Quando una molestia olfattiva viene avvertita dai cittadini (“recettori”) e le segnalazioni ricevute superano un numero stabilito (ad esempio 3), viene utilizzata la strumentazione scientifica per verificare la segnalazione attraverso la raccolta di un campione da inviare per le relative analisi olfattometriche, da effettuare secondo la Norma UNI EN 13725:2004.

La misura così ottenuta consentirebbe di confermare e validare in maniera oggettiva la percezione dei cittadini (“recettori”) sul territorio. Si tratterebbe, secondo me, di un progetto da prendere in seria considerazione, sia perché prevede il coinvolgimento attivo della cittadinanza nella difesa dell’ambiente sia perché offre la possibilità di lavoro nell’ambito del monitoraggio dell’inquinamento territoriale.

È indiscutibile, comunque, che i cittadini di Gricignano di Aversa abbiano il sacrosanto diritto di respirare un’aria salubre e senza odori sgradevoli e che la soluzione del problema spetti ai politici locali darla. Non è condivisibile, però, l’atteggiamento di chi fa propaganda politica, mettendo a rischio anche l’immagine del nostro paese ,affibbiandoci il marchio del “paese della Puzza”.

Per concludere, sarebbe anche opportuno fare, secondo il mio modesto parere, una richiesta formale all’azienda che maggiormente provoca tale problema. L’atto sarebbe funzionale alla convocazione urgente di un tavolo tecnico-politico utile ad affrontare il problema legato ai miasmi che colpiscono il nostro paese, adottando, quindi, un nuovo approccio che non sia solo di rottura, ma propositivo. Il fine ultimo – conclude – deve essere quello di progettare insieme la possibilità di riconversione dell’impianto e magari della delocalizzazione”.

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